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Aiuto, ci siamo persi il privato
Pubblicato da Traduzione di Emilio Picco (Tuttolibri) in Privacy • 30/01/2010

Il sociologo Wolfgang Sofsky denuncia come ormai nemmeno più avvertiamo l'incessante sorveglianza: ogni minimo dato e atto della nostra vita è registrato, eppure nessuno sembra spaventarsi.

Oggi l’incessante sorveglianza non viene praticamente avvertita dalla maggior parte delle persone.
Tecnica e attuazione dello spionaggio quotidiano hanno luogo senza che la gente quasi se ne accorga. Da un pezzo si è abituata alle telecamere, alle tessere degli sconti e ai messaggi pubblicitari. Alcune cose appaiono fastidiose, altre inevitabili, molte sono invisibili e ignote. Le telecamere promettono sicurezza, i servizi informatici offrono comodità.
A parte qualche sporadica seccatura, il cittadino trasparente apprezza le facilitazioni dell’era digitale.
Senza esitazioni rinuncia a essere inosservato, anonimo, inaccessibile.
Non avverte la perdita della libertà personale. Nemmeno immagina che ci sia qualcosa da difendere.

È troppo poco geloso della propria sfera privata per preservarla a costo di altri vantaggi. La privatezza non è un programma politico che possa portare voti. La tutela del segreto non è un compito suscettibile di consenso nelle società della comunicazione dilagante.
L’esigenza di essere lasciati in pace è poco diffusa. Contrasta troppo con lo spirito di un’epoca che butta tutto in politica e antepone la notorietà alla privatezza.
Ma il fatto che la protesta latita e la difesa è fiacca non implica che il pericolo sia irrisorio.

Le persone lasciano più tracce di quanto immaginano.
A nessuno è più concesso di sottrarsi tacitamente alla società e di essere lasciato in pace.
La pista è così ampia che investigatori capaci sono in grado di appurare in un attimo dove uno è stato e con chi ha parlato. Non è possibile per il singolo cambiare maschera di nascosto e diventare altro da quello che è.
Non può travestirsi né scomparire per qualche tempo. Il suo corpo viene continuamente passato ai raggi, il suo percorso di vita registrato, la sua condotta documentata. E quanto più a lungo i dati restano memorizzati, tanto più scarse le possibilità dell’oblio. Il sapere archiviato aumenta quotidianamente. In caso di dubbio ogni fatto del passato può essere ricostruito.
Nulla viene trascurato, ignorato, perdonato. Perciò gli individui sono condannati ad affidarsi totalmente a se stessi. Devono mettere in conto ogni traccia, valutare preventivamente tutte le conseguenze delle proprie azioni.
Se ogni negligenza, ogni errore, ogni leggerezza vengono registrati, la spontaneità dell’agire è compromessa.
Ogni azione viene esaminata e giudicata. Nulla sfugge all’attenzione.

Il passato soffoca il presente, e al futuro non si affida comunque nessuno, perché nessuno è in grado di assumersi la responsabilità delle proprie predilezioni, disattenzioni e inaffidabilità.
Se a intervalli regolari non venissero cancellati certi dati e fatte sparire certe tracce, gli esseri umani sarebbero reclusi nel carcere della loro storia. Queste prospettive però non sembrano spaventare nessuno.
Nelle odierne società occidentali vige – come si suole dire – la legge del cambiamento, della caducità. Le mode vanno e vengono, i conoscenti mutano, i pensieri sono già svaniti prima ancora di prendere corpo. Ovunque si diventa testimoni involontari di discorsi insulsi. Massa, volume acustico e velocità della comunicazione sono esplosi.

Nonostante i programmi di filtraggio, nessun teleschermo sarebbe in grado di preservare in modo attendibile tutte le tracce sospette nel caos dei suoni e delle immagini. Il primo interesse non è il segreto privato, ma la messa in scena pubblica di se stessi. Chi non si vede, non esiste, dice la legge della società mediatica.
Non si teme di essere spiati, ma di non essere notati. La gente di oggi pare costantemente dedita a fissare la propria immagine. Perché mai uno dovrebbe essere infastidito dalla telecamera nel centro commerciale, quando egli stesso corre da un’istantanea all’altra mettendosi subito in posa davanti a ogni nuovo sfondo?

Per farsi ancora notare nel guazzabuglio mediatico e lasciare una traccia nella memoria sociale, oggi molti ricorrono a espedienti stravaganti. Ogni mezzo è buono; le loro esternazioni sono stridule e isteriche, le loro opinioni astruse e demenziali, il loro aspetto bizzarro ed eccentrico.
A ogni costo vogliono apparire sui teleschermi nazionali per riversare sui telespettatori le banalità della loro esistenza.
Una volta spenti i riflettori, scompaiono di nuovo nella massa senza troppo rumore.

La smania volgare di effimero protagonismo accelera la distruzione del privato.
L’economia della notorietà rende ciechi nei confronti del pericolo politico. Il desiderio di emergere personalmente ha perso da un pezzo il senso del privato. Dunque non è il caso di dare il cessato allarme.
Peggio ancora: sono proprio necessarie le apparecchiature radioscopiche, se le persone si mettono a nudo volontariamente? Superflue appaiono le intercettazioni ambientali, se i colloqui a quattr’occhi rappresentano soltanto una parte infinitesimale della comunicazione, mentre i dialoghi per telefono, telescrivente o Internet possono essere registrati in qualsiasi momento.
È proprio necessario captare e registrare ogni sillaba, se il diluvio di parole delle conversazioni quotidiane cela soltanto il vuoto dell’insignificanza? Non ci sarà neppure più bisogno di telecamere, dato che nel prossimo futuro ognuno porterà con sé una carta di identità grazie alla quale sarà sempre possibile scoprire dove si trova.

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