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Google accusata da Apple di spionaggio
Pubblicato da Dario Martucci in Spionaggio • 20/02/2012

BigG sembra accedesse ai dati sensibili degli utenti del browser Safari Apple. L’accusa emerge da un’inchiesta realizzata da un ricercatore che poi l’ha consegnata in mano al Wall Street Journal. Stessa violazione della privacy pochi giorni fa anche per chi navigava su Twitter con l’iPhone

Google spiava gli utenti di Apple è l’accusa che in questi giorni è rimbalzata un po’ ovunque dopo il titolone del Wall Street Journal. A confermare questa grave violazione della privacy sembrerebbe esserci un’analisi/inchiesta svolta da Jonathan Mayer, un ricercatore della Stanford University.



L' imputazione, se fosse accertata, sarebbe veramente pesante e causerebbe un precedente di assoluta gravità. Lo spionaggio riguarderebbe quegli utenti che usano il browser Safari Apple, cioè un competitor di Google che, appena è apparsa questa notizia, ha pensato bene a bloccare i cookies incriminati con cui si carpivano i dati comportamentali degli utenti della Mela.

Ma cosa è successo? Basandosi su una funzionalità di Safari si è offerto agli utenti di Google, loggati nel loro account, funzioni abilitate dagli utenti stessi. Questi cookie pubblicitari non raccolgono informazioni personali, ma sono comunque fuori da una sorta di regola deontologica (se mai ci fosse stata) del web. In questo “giochetto” oltre a Google sono coinvolte Media Innovation Group (Wpp), PointRoll (Gannett) e Vibrant Media che hanno sfruttato lo stesso sistema.

Apple ha già fatto sapere che bloccherà qualsiasi anomalia, mentre Google passa ad una azione mista tra la giustificazione e la difesa da eventuali attacchi mediatici perché per BigG non si tratta di nulla di grave. Una situazione molto vicina a quella che sta vivendo Google è capitata di recente anche agli utenti che navigano su Twitter con gli iPhone, in cui, senza menzione nelle informazioni sul diritto alla privacy, l' applicazione riesce ad archiviare per un anno e mezzo nei propri server tutta la rubrica telefonica dell’utente. Un procedimento che Twitter stessa ha giustificato adducendo che questo tipo di sistema è stato creato per migliorare il servizio.

Dettami della tecnologia oppure invasione bell’e buona della privacy? Per gli sviluppatori, che si introducono con gli API (Application Program Interface) a questi elenchi sensibili, si tratta di un procedimento lecito e quindi che non vìola alcuna regola. Per altri, invece, è un meccanismo che non ha fini di lucro e quindi non punibile. Per gli utenti, infine, è una vera e propria appropriazione di dati sensibili ed assolutamente privati.

L’unica cosa certa è che, dopo questo fattaccio, si ha bisogno di una regolamentazione ufficiale che punisca chi non osserva i divieti con sanzioni pesanti. Altrimenti sarà un Far West in cui tutto è giustificabile. E voi cosa ne pensate?

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