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Unthink, dietro il nuovo anti-Facebook c’è una mamma preoccupata
Pubblicato da Fabio Deotto in Facebook • 02/11/2011

Mentre Facebook continua la sua lotta all’ultimo sangue con Google per diventare il social network globale, una serie di nuove start up trafficano nell’ombra per creare la prima, valida alternativa al modello Zuckerberg.

In principio fu Diaspora* e la formula aveva qualcosa di già sentito: quattro studenti universitari, un alloggio studentesco trasformato in laboratorio informatico e le tasche piene di ambizioni. Prima ancora di capire cosa fosse e come funzionasse, Diaspora* aveva già preso la patente di anti-Facebook. Nel giro di pochi giorni, nell’aprile del 2010, Diaspora* aveva già superato la soglia di 10.000 dollari di finanziamento su kickstarter. Nel giro di pochi giorni, il malloppo si era ventuplicato fino a raggiungere quota 200.000 dollari.



Forte di queste solide fondamenta monetarie (persino Zuckerberg ci ha investito), Diaspora* ha subito acceso i motori, lavorando a un social network che, nelle speranze dei suoi ideatori, permetterà la condivisione sicura di materiali multimediali, consentirà agli utenti di avere un controllo pressoché totale sui propri dati personali, garantirà una privacy di granito grazie all’utilizzo di backup cifrati e distribuiti e di un sistema di autenticazione decentralizzato OpenID. Da quasi un anno Diaspora* è aperto al pubblico in fase alfa, e attualmente è alla ricerca di finanziatori che garantiscano un sostegno finanziario continuativo al progetto.

Nel frattempo, in attesa che Diaspora* esca definitivamente dalla fase alfa e sfoderi per intero i suoi artigli, un altro pretendente è salito sul ring. Anche Unthink si è presentato al mondo in qualità di anti-facebook. Lo scorso 25 ottobre è stata lanciata la versione beta del nuovo social network, al grido di “Facebook può chiuderti l’account da un momento all’altro. Con Unthink, il proprietario del tuo spazio sei tu”.

A meno di una settimana dal lancio della versione beta, Unthink ha già rastrellato più di 100.000 utenti e a quanto pare il trend non accenna a frenarsi. Il numero di visite sul sito raddoppia di giorno in giorno e gli utenti che decidono di preferire le Suite di Unthink ai profili di Facebook crescono a ritmo incoraggiante.

Ma cosa distingue Unthink da Facebook (e da Diaspora*)? Innanzitutto, l’origine. Facebook e Diaspora* sono nati dalle ambizioni di giovani studenti di talento, Unthink è opera di una madre preoccupata per la privacy del figlio. Nel 2008, il figlio di Natasha Dedis aveva chiesto alla madre di poter aprire un account su Facebook. La Dedis decise di seguire il processo di persona, andò a leggersi i Terms of Service e decise di non permettere al figlio di aggiungersi alle centinaia di milioni di utenti che già allora affollavano il sito.

Facebook, secondo la Dedis, era troppo “opprimente”. L’utente non aveva un reale controllo sui propri dati personali, che potevano essere archiviati e utilizzati a fini di marketing pubblicitario. Il figlio, naturalmente, non riusciva ad accettare di non poter “essere come tutti gli altri”, voleva il suo profilo, voleva essere connesso. Allora Natasha Dedis decise di creare un social network che permettesse di ripensare il concetto stesso di condivisione online. Tre anni dopo, Unthink venne alla luce, aiutato da un finanziamento di 2,5 milioni di dollari per opera della DouglasBay.

“La prima cosa che doveva essere ri-pensata di un social media è: a chi appartiene?” ha dichiarato Dedis “Dobbiamo poter possedere tutto quello che mettiamo sulla nostra pagina. Possiamo rendere le nostre informazioni pubbliche o private, ma deve essere una nostra scelta.”

L’obbiettivo principale di Unthink, per dirla con le parole della Dedis, è quello di “emancipare i social media”, ovvero rimettere nelle mani dell’utente i dati che sceglie di condividere. Questo approccio trova riflesso anche nella scelta di separare i canali di comunicazione tra utenti e tra utenti e aziende. È l’utente a decidere con quali brand comunicare, da chi ricevere pubblicità e quali pubblicità mostrare sulla propria pagina (è anche possibile scegliere di non avere alcuna pubblicità, ma questo comporta il pagamento di due dollari all’anno per i servizi di Unthink).

Stando al boom di utenti registrato in questi primi giorni, in molti sono pronti a scommettere che Unthink darà del filo da torcere a Facebook e, soprattutto, a Google+. In realtà, tutto dipende da quanto le connessioni tra gli utenti si riveleranno solide. Se fra le Suite di Unthink si creeranno flussi ingenti di dati condivisi e relazioni tra utenti, allora Unthink potrà crescere come un vero social network. Se invece la gente si limiterà a creare il proprio profilo, per poi continuare a farsi gli affari degli altri su Facebook, la caduta di Unthink potrebbe essere ancora più ripida della sua ascesa (Google+ docet).


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