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Amato: la partita degli 007 viene giocata su Internet
Pubblicato da Antonella Rampino in Spionaggio • 10/07/2010

«Ma con l’Iran funziona ancora l’intelligence di tipo tradizionale»

ROMA
Presidente Amato, lo scambio di spie tra Russia e Stati Uniti fa l’effetto di un tuffo nel passato, un revival in stile Le Carré. Queste ci sembrano spie della porta accanto...
«Quel che ha colpito l’opinione pubblica è stata l’avvenenza di una delle spie russe, quasi che il caso fosse uno dei tanti di gossip internazionale. La reazione dei russi è stata tutto sommato pacata, il che fa pensare a un’attività corrente di spionaggio tra questi grandi Paesi. Ma qual è il gioco? Oggi l’intelligence ha spostato i suoi bersagli da quelli tradizionalmente statal-militari alla società. C’è una nuova geopolitica dello spionaggio».


Giuliano Amato

Pericoli diffusi, intelligence diffusa? Lei ha avuto modo, anche da ministro dell’Interno, di seguire da vicino i servizi segreti...
«Il gioco dell’intelligence, raccontata da film e romanzi, stava nell’individuare il luogo dello sbarco americano da parte dei tedeschi, la cruna dell’ago, o nel depistaggio che dei russi facevano i servizi britannici. Oggi, anche leggendo l’ultimo rapporto dell’intelligence tedesca, vediamo che l’attenzione prevalente è per l’economia. Si va a frugare non nei cassetti del Pentagono ma in quelli di un’impresa che sviluppa tecnologie, a prescindere dal loro uso militare».

Ma le grandi conquiste tecnologiche, anche Internet, non sono nate proprio in habitat militare?
«Era verissimo per gli Stati Uniti nei decenni trascorsi. Il Giappone ha sviluppato fior di innovazioni, senza spese militari. L’Economist ha pubblicato un dossier sullo spazio cibernetico come luogo privilegiato per le moderne forme di guerra. Andare a caccia nel web presenta nuovi problemi per le imprese e i cittadini, perché nel cyber-spazio ci sono informazioni sulle tecnologie che si vanno sviluppando o sulla vita privata. E sul versante del terrorismo la vita privata può essere messa in gioco. Non solo quella del ministro della Difesa nel cui letto il Kgb tentava anni addietro di infilare una spia, ma quella del giovane di un Paese arabo che va in Europa o negli Stati Uniti a studiare, e di cui viene scrupolosamente accertata la non appartenenza a un’organizzazione terroristica. La direttiva di Bush sulla «homeland security» dell’ottobre 2001, a poche settimane dall’attentato delle Torri gemelle, indicava i corsi universitari e gli studenti sensibili da tener d’occhio».

Quindi rischiamo anche un Grande Fratello dell’intelligence via web? Facebook pare pulluli di «barbe finte»...
«Il rischio c’è. Una volta avremmo detto che era cosa da stati totalitari. Oggi non è così, ma la vita privata è di nuovo su larga scala all’attenzione dell’intelligence. Finita la guerra, e finita la Guerra Fredda, il nemico è più spesso il terrorismo che uno Stato, e gli Stati stessi cercano il primato attraverso non la guerra, ma l’economia. L’ultimo documento a firma Obama sulla strategia per la sicurezza nazionale dice che sarà la forza dell’economia a garantire la leadership Usa nel mondo».

L’Iran solo Stato nemico?
«Sì, l’Iran rappresenta l’eccezione, con loro funziona ancora l’intelligence di tipo tradizionale. Una delle ragioni per cui sia Israele che Stati Uniti sono molto cauti sull’ipotesi di intervento militare è che sanno dall’intelligence che i siti nucleari iraniani sono collocati in modo diabolicamente difficile da raggiungere».

E l’Italia?
«Noi siamo al centro di due cambiamenti. Il primo, condiviso con l’intera Europa, è un rapporto di vicinato e non più di contrapposizione letale con la Russia. Non ci divide più la cortina di ferro, ci uniscono i tubi del gas. Anche la Nato non può non tenerne conto, c’è una sempre più stretta interazione economica.. Il secondo aspetto è che i terroristi raramente usano l’Italia per le loro imprese, ma vi si addestrano per attentati in altre parti del mondo, Medio Oriente e Maghreb. Questo richiede grande attenzione d’intelligence».

In America come si valutano i nostri rapporti con i russi?
«Gli americani guardano agli europei così legati alla Russia con una qualche cautela, ma senza conflittualità. Sono gli stessi Stati Uniti a sottolineare gli interessi vitali e comuni nell’arena mondiale. Punti di vista diversi ci sono, sì, sui Balcani, sul Kosovo, sul Caucaso, sulla Georgia. Questioni di vicinato, non ingestibili».

Però Obama ha rimproverato l’Europa sulla Turchia.
«Obama è portatore di una politica che non è mai cambiata, l’alleanza strategica con la Turchia nel bacino mediorientale. Un’alleanza che condividiamo, e che dovrebbe avere come conseguenza l’ingresso della Turchia nell’Unione europea. Cosa che incontra ostacoli di altra natura, sono contrarie le pubbliche opinioni di Germania e Francia in particolare. La Turchia è a forte crescita economica e ha una forte struttura militare, dunque o ha un ruolo in Europa, o un ruolo nel Medio Oriente se lo trova».

Anche a discapito di Israele?
«Questo è un problema. La Turchia e Israele sul piano militare hanno sempre viaggiato insieme, rappresentando una garanzia di stabilità in quell’area calda. Non è più così per gli incidenti della Free flotilla. Qualcosa non ha funzionato in quel caso, anche negli apparati informativi. Ma almeno per un caso simile, non è più possibile che scoppi una guerra. Contentiamoci di avere un problema in più da risolvere».

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