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Ho ucciso John Lennon!
Pubblicato da Michelangelo Iossa in Spionaggio • 28/06/2008

Quarant’anni fa, il primo giugno 1969, viene registrato Give Peace a Chance, il manifesto del movimento pacifista internazionale firmato da John Lennon. Il 10 dicembre del 1971 l’Fbi apre ufficialmente un Dossier su John Lennon. In pochi anni vengono messe insieme 281 pagine interamente dedicate al musicista inglese. Secondo gli agenti dell’Fbi Lennon è un “estremista da considerare pericoloso”. Poco tempo dopo John confiderà ad un amico: «Ascolta, se succede qualcosa a me o Yoko, non sarà un incidente». Ecco le sue ultime ore raccontate da uno dei maggior esperti di Lennon in Italia.

8 DICEMBRE 1980: MUORE JOHN LENNON, COMINCIA LA LEGGENDA


“Quando me ne andai dall’Inghilterra non potevo nemmeno andare in giro per strada; quando ci trasferimmo a New York, continuavo a camminare tutto teso, aspettando che qualcuno mi dicesse qualcosa o mi saltasse addosso. Mi ci sono voluti due anni per rilassarmi. Adesso posso uscire da questa porta e andare al ristorante. Non puoi capire quant’è bello! La gente ti si avvicina, chiede l’autografo e dice ‘ciao’, ma non ti infastidisce”: era iniziato da pochi giorni un dicembre insolitamente tiepido quando John Lennon, in una delle sue tante interviste rilasciate poco dopo l’uscita di Double Fantasy, dichiarò il suo incondizionato amore per New York, una città che gli aveva regalato quella sicurezza e quella tranquillità che non aveva mai potuto apprezzare quando era un Beatle e viaggiava nelle metropoli di mezzo mondo. Londra, Amsterdam, Montreal, Manila, Parigi, San Francisco, Tokyo, Washington: una vita vissuta al fianco di guardie del corpo, poliziotti e road manager che lo difendevano dall’isterico assalto dei fans. Ma New York era diversa, più sicura, più protettiva con il “suo” John e con i suoi familiari.
Lennon non poteva immaginare che proprio un suo fan avrebbe distrutto la rassicurante magia di New York puntando una pistola Charter Arms calibro 38 contro di lui per trasformarlo nel martire più famoso della storia del rock.



Dalle prime ore del mattino.
Anche quel lunedì 8 dicembre, sin dalle prime ore del mattino, si preannunciò ricco di impegni familiari e professionali per John. Svegliatosi poco dopo le 7.00, il musicista dedicò i primi minuti della sua giornata a preparare la colazione per Sean e alle 9.00 era già al tavolo del “Cafè La Fortuna” per sorseggiare un buon espresso italiano prima di andare dal suo barbiere per un taglio di capelli.
Nel frattempo, dalle 8.15, la radio dell’ufficio di Yoko era sintonizzata sulle frequenze di Bbc Radio One: era iniziato il David Lee Travis Show, durante il quale venne trasmessa una piccola parte dell’intervista concessa il sabato precedente ad Andy Peebles dai coniugi Lennon.
Alle 9.45 John Lennon era nuovamente nel suo appartamento del Dakota, in tempo per accogliere lo staff del network radiofonico Rko guidato dal giornalista Dave Sholin. Poco dopo le 10.00 Laurie Kaye, Ron Kummel e Bert Keane iniziarono le registrazioni di uno special radiofonico dedicato interamente a John e Yoko. Sarebbe stata l’ultima intervista di Lennon.

Eccomi qua.
“Era di ottimo umore. – avrebbe ricordato Sholin nel 1990 – Aveva appena superato un brutto periodo e voleva ricominciare una nuova vita”. La conversazione, che venne trasmessa integralmente in Europa soltanto dieci anni dopo la morte del musicista, era colma di precisi riferimenti al “nuovo corso lennoniano” del quale (Just Like) Starting Over rappresentava la naturale colonna sonora.“(Con Double Fantasy) mi rivolgo alla gente che è cresciuta con me e dico: ‘Eccomi qua. Voi come state? Come vanno le vostre storie? Ce l’avete fatta? Gli anni Settanta non erano uno strazio? Beh, ora siamo qui. Cerchiamo di rendere migliori gli anni Ottanta perché tocca a noi farli diventare qualcosa di importante’. Non penso che il futuro sia fuori dal nostro controllo: credo ancora nell’amore, nella pace e nel pensiero positivo”.
L’intervista di Sholin si trasformò in un’ennesima prova d’autore per Lennon-il-comunicatore, il quale parlò liberamente della sua esperienza con i Beatles, delle partnership artistiche con McCartney e con la Ono, del figlio Sean e delle sue nuove produzioni discografiche. Con Sholin, però, John Lennon parlò anche del dualismo vita/morte, massicciamente presente nelle sue ultime composizioni, da My Life a Help Me To Help Myself sino alla profetica Dear John. Se da un lato Lennon affermava “Quando ero ragazzo, i 30 anni rappresentavano per me l’età della morte. Adesso ho 40 anni e mi sento meglio di prima”, dall’altro ammetteva “Ho sempre considerato il mio lavoro un pezzo unico (…) e penso che il mio lavoro non finirà fin quando sarò morto e sepolto”.

Fotografie.
Conclusa l’intervista per l’emittente Rko, John e Yoko si sottoposero ad un servizio fotografico per “Rolling Stone”; la celebre Annie Leibovitz fu ammessa nell’appartamento dei Lennon e, dalle 14.00 alle 15.30, portò a termine l’ultima session fotografica professionale dedicata all’ex-Beatle, i cui scatti avrebbero trovato spazio sull’edizione del 22 gennaio 1981 del magazine musicale statunitense.
Uscito dal Dakota Building alle 16.00, poco prima di salire a bordo dell’auto degli studi “Hit Factory”, John Lennon si intrattenne a chiacchierare con alcuni fans ed autografò i loro dischi. Anche il venticinquenne Mark David Chapman si avvicinò a John, gli mise in mano la sua copia di Double Fantasy. Lennon gli chiese se voleva un autografo e Chapman pigramente annuì con il capo, senza dire una sola parola e senza manifestare alcun entusiasmo per l’incontro con il suo Beatle preferito. Il cantante gli firmò l’album e osservò con la coda dell’occhio il fotografo Paul Goresh come se volesse dirgli “qui c’è qualcosa che non va”. Goresh scattò alcune foto dei due, prima di vedere allontanarsi John a bordo della limousine. Lennon non amava quell’automobile nera, così cupa, così poco promettente. La sua limousine preferita era infatti una Fleetline color argento metallizzato: per qualche strano motivo, l’auto non arrivò e John dovette utilizzare la vettura nera degli studi di registrazione.
Sean rimase al Dakota in compagnia di Helen, moglie di Fred Seaman, l’assistente dei Lennon.

In studio.
Il 33 giri Double Fantasy, a due sole settimane dal lancio, aveva già conquistato il disco d’oro. Dopo aver festeggiato con il discografico David Geffen l’importante successo professionale, il produttore Jack Douglas, Yoko Ono e John Lennon si misero al lavoro, preparando nuovi missaggi della canzone Walking On Thin Ice.
Alle 22.30 il lavoro sui nastri del brano di Yoko era ormai terminato. La limousine nera poteva ora accompagnare John e sua moglie a casa.

Mister Lennon.
Ore 22.52 a New York – ore 3.52 a Londra: John Lennon uscì dall’auto, fece pochissimi passi. L’ombra di un uomo emerse dal nulla. Mark David Chapman, il fan che solo poche ore prima aveva avuto la fortuna di incontrare il suo idolo per farsi autografare la copia di Double Fantasy, esclamò “Mister Lennon!” puntando la pistola contro il musicista e sparandogli i cinque proiettili della Charter Arms calibro 38.
Lennon fece pochi passi per raggiungere il gabbiotto del doorman del Dakota, Jose Perdomo, e si accasciò per terra sanguinante. Yoko cominciò ad urlare in maniera isterica ed incontrollata: “Aiutatemi! È stato sparato, è stato sparato! Qualcuno venga presto qui”.
Il concierge del Dakota, Jay Hastings, telefonò immediatamente alla polizia e si precipitò all’esterno dell’edificio per aiutare Yoko Ono. Perdomo corse verso Chapman per immobilizzarlo, ma l’assassino era fermo ed osservava impassibile la scena del delitto.
Hastings si tolse l’uniforme blu per coprire il corpo di Lennon e gli sfilò dolcemente i suoi inconfondibili occhialini tondi, un simbolo per schiere di fans, cresciute ascoltando Strawberry Fields Forever e Imagine. John stava morendo.

Il giovane Holden.
L’auto più vicina al luogo del delitto si trovava tra la 72esima strada e Broadway: la macchina guidata dai poliziotti Steve Spiro e Peter Cullen del New York Police Department accorse pochi minuti dopo l’assassinio. I due arrestarono immediatamente Chapman. Nella tasca dei suoi vestiti furono trovati soltanto una copia del romanzo “Il Giovane Holden” di J. D. Salinger e 2.000 dollari in contanti.
Dopo essere stato ammanettato, l’assassino affermò: “Avevo un uomo enorme ed un uomo piccolo dentro di me. L’uomo piccolo è quello che ha premuto il grilletto!”.
Sollecitate dai due agenti Spiro e Cullen, altre auto della polizia si avvicinarono al Dakota Building: furono i poliziotti James Moran e Bill Gamble a caricare sulla loro auto John Lennon, dopo essersi resi conto che non c’era più tempo di aspettare un’ambulanza. Mentre la macchina correva verso il St. Luke’s Roosevelt Hospital, Gamble chiese a John: “Come ti chiami?”. “Lennon” fu la risposta del musicista.
Per mantenere in stato di coscienza l’ex-Beatle, l’agente replicò: “Sei sicuro di essere John Lennon?” e la risposta non tardò ad arrivare: “Sì, sono John Lennon”.
L’ultima domanda fu: “Come ti senti?”. “Sto male” furono le ultime parole di John Lennon.

John è morto.
“Ditemi che non è vero!” continuò a gridare in maniera isterica Yoko Ono, che raggiunse l’ospedale della West 59th Street a bordo di un’altra auto della polizia, guidata dall’agente Anthony Palmer.
Giunto al reparto di rianimazione del St. Luke’s Roosevelt Hospital, il corpo di Lennon fu affidato all’equipe guidata dal dottor Stephan Lynn.
Alle 23.07 Lynn dichiarò John Lennon “ufficialmente deceduto” ed informò Yoko Ono alle 23.15: “Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo per riportarlo in vita, ma non c’è stato nulla da fare. Riteniamo che il primo proiettile sia stato letale, poiché ha danneggiato l’arteria principale”.
La notizia della morte di John fece rapidamente il giro degli Stati Uniti ed in poche ore raggiunse anche il continente europeo. Fu la trasmissione sportiva della Wabc Tv “Monday Night Football” a dare per prima la notizia: il giornalista Howard Cosell, al quale solo sei mesi prima John Lennon aveva rilasciato una breve intervista, venne informato dal produttore televisivo Bob Goodrich della morte del musicista durante una pausa del programma e diede la notizia in diretta.
Alle 23.35 Jack Douglas, ancora intento a lavorare al banco-mixer degli “Hit Factory”, ricevette la tragica notizia da Yoko Ono: lo stato di shock di Douglas, vero promotore del grande ritorno discografico di Lennon, ebbe inizio quella sera stessa e si concluse soltanto nell’estate dell’anno seguente.
Poco dopo la mezzanotte, fu uno Stephan Lynn in camice bianco ad affrontare la stampa davanti al St. Luke’s Roosevelt Hospital; i flash dei fotografi accompagnarono la lettura del rapporto medico. Secondo quanto spiegato da Lynn, John Lennon era stato colpito al torace, al braccio sinistro e alla schiena. Rispondendo alle domande dei tanti giornalisti, il medico spiegò che Yoko Ono era stata informata della morte del marito e che era rimasta sconvolta dalla notizia.
Scortata dalla polizia, dal produttore Jack Douglas e dal discografico David Geffen, la Ono venne condotta al Dakota Building. All’una di notte, davanti all’ingresso della residenza newyorchese dei Lennon, erano già assiepate oltre seicento persone che, in lacrime, intonavano le canzoni dei Beatles e di John. Il crescente numero di fans costrinse il New York Police Department ad erigere delle barriere di legno davanti all’entrata del Dakota.
Alle due di notte, il capo della polizia di New York, James T. Sullivan, tenne una conferenza stampa presso il ventesimo distretto, nella West 82nd Street, durante la quale spiegò: “Vi abbiamo riuniti qui per fornirvi alcune informazioni raccolte sinora in merito all’omicidio di John Lennon. Abbiamo tratto in arresto Mark David Chapman proveniente dalla 55 South Kukui Street, nelle Hawaii, per aver commesso l’assassinio di John Lennon. Nato il 10 maggio 1955, Chapman avrebbe soggiornato a New York per una settimana circa”.

La veglia silenziosa.
Le sigle delle edizioni straordinarie dei telegiornali risuonavano nelle stanze del Dakota quando, alle tre del mattino, Yoko telefonò a Paul McCartney in Inghilterra per comunicargli la tragica notizia. Poco dopo, la vedova Lennon dettò a Geffen una dichiarazione che avrebbe personalmente trasmesso alla stampa internazionale: “Non ci sarà alcun funerale per John. – recitava il comunicato – Nel corso della settimana definiremo l’organizzazione di una veglia silenziosa per pregare per la sua anima. Vi invitiamo a partecipare, dovunque voi vi troviate. Vi ringraziamo per i tanti fiori che avete inviato a John. Per il futuro, vogliate inviare donazioni alla Spirit Foundation Inc., organizzazione benefica fondata personalmente da John. L’avrebbe apprezzato moltissimo. John ha amato e pregato molto per tutti gli uomini. Vi chiediamo di pregare allo stesso modo per lui. Con amore, Yoko e Sean”.
In realtà, il piccolo Sean non ricevette alcuna notizia della morte del padre per ben ventiquattr’ore.

L’assassinio di John Lennon ci ha privato di una delle voci più preziose che la musica popolare del dopoguerra abbia espresso. L’eredità lennoniana è senza dubbio ingombrante: per la capacità di coinvolgimento dell’opinione pubblica, per l’abile uso delle arti (poesia, musica, letteratura e segno grafico), per la brillante dialettica.

Caro John, non essere duro con te stesso / Concediti una pausa / La vita non è stata concepita per essere vissuta di corsa / Ora la corsa è terminata / E tu hai vinto: con molta probabilità fu proprio Dear John l’ultimo brano composto da Lennon poco prima della sua tragica morte. È davvero sconcertante leggere oggi, a distanza di quasi trenta anni dalla scomparsa del musicista di Liverpool, il verso Ora la corsa è terminata, sapendo che è stato scritto poco prima di quel lunedì 8 dicembre 1980.

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