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Spie, l'onore ferito di Mosca
Pubblicato da Mark Franchetti in Spionaggio • 13/07/2010

Lo scandalo delle spie che ha tenuto col fiato sospeso il mondo nelle ultime due settimane si è concluso con il più grande scambio di agenti dalla fine della Guerra Fredda. La soluzione è stata concordata in tempi record, un chiaro segno del miglioramento delle relazioni tra Russia e America.

Washington ha buone ragioni per ritenersi soddisfatta. Gli americani sono riusciti a smascherare una rete di agenti russi sotto copertura, evitando un lungo processo nel quale sarebbero stati costretti a portare prove fragili, e assicurando in cambio il rilascio di quattro russi accusati di aver spiato per l’America e rinchiusi in carcere con condanne pesanti.

Cosa potrebbe dire la Russia invece? Durante la Guerra Fredda, gli agenti sovietici che fallivano in Occidente venivano accolti in patria come eroi. Quarantaquattro anni dopo la sua fuga dalla Gran Bretagna verso Mosca, George Blake, il più famoso doppio agente sovietico nel Regno Unito, vive a 87 anni un’esistenza tranquilla nella sua dacia e continua a godere di grande rispetto. Al contrario, Anna Chapman, l’attraente 28enne diventata il volto dello scandalo delle spie, e gli altri agenti hanno avuto un’accoglienza molto più gelida. La vicenda ha messo in grande imbarazzo il Cremlino e l’Svr, l’agenzia di spionaggio estero russa. La sua rete di agenti dormienti è rimasta sotto osservazione dell’Fbi per circa dieci anni. Le informazioni raccolte e inviate a Mosca dagli agenti erano per lo più disponibili su Internet, e finora non sono emerse prove di segreti su cui avessero messo le mani.

Si dice che Anna Chapman sia intelligente al pari di quanto è sexy, ma certamente non ha fatto un favore alla reputazione dello spionaggio estero russo quando ha accettato di incontrare e ricevere istruzioni segrete da un uomo che non aveva mai visto prima e che si è rivelato un agente dell’Fbi che si spacciava per una spia russa.

I media di Stato russi hanno preferito ignorare lo scandalo. I giornali hanno deriso l’«incompetenza» degli agenti, come è stata chiamata da qualcuno. Le spie non sono più quelle di una volta, si è lamentato un altro quotidiano, definendo la qualità delle informazioni raccolte dalla Chapman e dai suoi colleghi come «patetica». Su un altro giornale, un colonnello del Kgb in pensione ha liquidato il gruppo come «dilettanti». «Ovviamente, hanno inviato dei rapporti, ma di una qualità tale che, dopo sette anni sotto osservazione, non c’erano elementi sufficienti per costruire contro di loro un’accusa di spionaggio decente», ha ironizzato un altro giornale russo.

Una reazione di disappunto dovuta non solo all’orgoglio ferito. Due decenni dopo il crollo del comunismo, è vero che le spie russe non sono più quelle di un tempo, un fatto che preoccupa sia il Cremlino che la vasta comunità di intelligence russa. Ai tempi sovietici il Kgb reclutava i più bravi e motivati, soprattutto nello spionaggio estero. Venire selezionati nei ranghi del Kgb oltre a una buona paga e a privilegi speciali come la possibilità di viaggiare all’estero, era estremamente prestigioso. Gli agenti all’estero erano figure mitologiche, eroi nazionali che diventavano modelli da imitare per i russi comuni. Vladimir Putin, che ha trascorso nel Kgb 16 anni, di cui cinque come agente a Dresda, ha raccontato di aver avuto l’ispirazione a entrare nei servizi grazie a una serie tv cult dell’epoca sovietica su un doppio agente russo nella Germania nazista.

Ma con il crollo del comunismo il Kgb, come il resto del Paese, ha perso il principale impulso che lo animava: l’ideologia. Gli ideali che hanno ispirato generazioni di agenti sono stati ripudiati e denigrati in una notte. Il Kgb, da entità che incuteva paura e rispetto, è stato vilipeso.

Alexei Kondaurov, un generale del Kgb in pensione con 22 anni di servizio, mi ha raccontato della sera del 1991 in cui dal suo ufficio alla Lubianka, il famigerato quartier generale della polizia segreta, aveva osservato una folla di manifestanti nella piazza sottostante tirare giù la statua di Felix Dzerzhinsky, fondatore della Ceka, in seguito diventata il Kgb. «Quando hanno messo il cappio sul collo di Dzerzhinsky mi sono sentito come se la corda si fosse stretta sul mio collo», mi ha detto. «Mi sono sentito come se stessero per impiccarmi. Ho capito che tutta la mia vita era stata cancellata. E’ stato molto difficile psicologicamente. Gli ideali ai quali avevo consacrato una vita di lavoro stavano per venire distrutti».

Il Kgb, ribattezzato oggi Fsb, venne spezzato in diverse agenzie e patì massicci tagli. Migliaia di agenti vennero licenziati oppure lasciarono i servizi in cerca di lavori meglio remunerati nel settore privato. La fuga di cervelli ha portato a una grave crisi di reclutamenti. Perché mai un giovane russo avrebbe dovuto entrare nei servizi quando poteva guadagnare dieci volte tanto nel settore del business? L’ideologia venne rimpiazzata da una profonda crisi d’identità che alimentò la corruzione, l’abuso d’ufficio e perfino la criminalità all’interno dello stesso servizio.

«Tante persone di talento se ne sono andate», prosegue Kondaurov. «Trovare nuove reclute di qualità è stato difficile. Anche oggi, vent’anni dopo, non è molto chiaro quale ideologia servono quelli dell’intelligence».

In anni di lavoro come reporter in Russia ho visitato la Lubianka diverse volte, e in un’occasione mi venne riservata anche una sorpresa insolita: prima di andare a colazione con uno dei dirigenti più importanti del Fsb mi furono fatti vedere i denti di Adolf Hitler, tuttora conservati negli archivi sotterranei dell’edificio. Le persone che ho incontrato alla Lubianka restano piene di dedizione al loro lavoro. Ma basta fare qualche domanda in più per sentirsi dire che il livello di professionalità dei tempi sovietici era più alto. Gli agenti russi dello spionaggio estero che ho conosciuto, incluso il brillante «tutore» personale di Blake, erano tutti dotati di un intelletto scaltro e veloce quanto di modi soavi e cosmopoliti. Che vi piacessero o meno, non potevate non restare impressionati dalla loro abilità come agenti di intelligence.

Markus Wolf, il leggendario capo dello spionaggio estero della Germania dell’Est, educato e addestrato a Mosca, era specializzato nella preparazione dei cosiddetti agenti dormienti come quelli arrestati di recente a Washington. Li mandava in Occidente e manovrava le loro carriere nei decenni. Uno dei suoi uomini, infiltrato nella Germania Ovest, salì così in alto da diventare uno degli assistenti più stretti del cancelliere Willy Brandt. Utilizzava anche gli agenti «Romeo», ufficiali della polizia segreta che seducevano e perfino sposavano le segretarie degli uffici governativi a Bonn per poi reclutarle. Tremendamente cinico, certo, ma molto efficace. Durante una colazione a Berlino alla metà degli Anni 90 Wolf mi spiegò come i documenti top secret che i suoi agenti rubavano a Bonn si trovassero sulla sua scrivania a Berlino Est alle 8 del mattino dopo. Pianificava le sue mosse decenni in avanti.

Un uomo che certamente avrà seguito con grande rammarico l’ultimo scandalo delle spie è Viktor Cherkashin. Ex spia pluridecorata del Kgb che servì Mosca per 30 anni, Cherkashin era distaccato a Washington quando diventò il primo «tutore» di Aldrich Ames, l’alto ufficiale della Cia che spiò per Mosca ed è tuttora considerato uno dei peggiori traditori americani. Come Kondaurov e migliaia di altri alti ufficiali, Cherkashin si è dimesso dal Kgb nel 1991, per aprire una società di sicurezza privata. Quando lo incontrai più di dieci anni dopo, mi raccontò come fu lui ad escogitare alcune delle più efficaci misure di protezione create dal Kgb per impedire che Ames venisse scoperto dalla Cia.

Un giorno Cherkashin fece ad Ames la sorpresa di presentarsi al pranzo che l’agente Cia aveva organizzato in un ristorante di Washington con il diplomatico russo che veniva utilizzato come canale per passare denaro e informazioni. Ames si agitò appena lo vide. L’Fbi conosceva Cherkashin e lo pedinava ovunque, ed Ames temette che questo incontro a sorpresa potesse far saltare la sua copertura. «Sapevamo che la Cia spesso sottoponeva i suoi ufficiali a test di routine con la macchina della verità. Quello è sempre stato un problema», mi raccontò Cherkashin. «Ad Ames sarebbe stato chiesto se aveva avuto di recente contatti informali con ufficiali del Kgb. Era una domanda standard. Il trucco era creare la situazione, un incontro a sorpresa. Dopo, non avrebbe più avuto bisogno di mentire. Avrebbe potuto rispondere con assoluta sicurezza che, mentre cercava di reclutare un diplomatico sovietico, era stato avvicinato da me. La macchina della verità non avrebbe registrato nulla di strano». Ames superò almeno altri due test prima di venire catturato nel febbraio 1994.

Paragonate questo piccolo esempio di come si faceva la spia una volta con quello che avete letto sulla Chapman e sui russi arrestati in America e comincerete a capire perché il Cremlino e l’Svr hanno buoni motivi per provare nostalgia per i vecchi bei tempi della Guerra Fredda, quando le loro spie erano davvero tra le migliori del mondo.


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